le radici profonde della crisi tra modello di sviluppo e ambiente

Come troppo spesso accade non c’è particolare attenzione alla produzione agricola.

Quando si parla di crisi la nostra attenzione si indirizza alla finanza, alla produzione industriale, alla restrizione del mercato, alla spesa pubblica eccessiva. Giriamo da una notizia all’altra, ma nel caos delle informazioni, delle analisi fatte a tanto al chilo, delle teorie su crescita e decrescita e su improbabili speranza sulla tenuta della nostra economia, ci dimentichiamo, troppo spesso, di quel settore che un tempo veniva chiamato “primario” e che costituiva il fondamento della vita. Un tempo si parlava di agricoltura…. oggi è argomento marginale.

Ancor peggio va quando si collegano due elementi che non sono particolarmente, oggi, tenuti in considerazione.

E parlo dell‘ambiente e delle sue connessioni, molto strette, con l’agricoltura. Più la crisi fa sentire i suoi morsi e più passa in second’ordine il tema ambientale. La parola d’ordine  assolutamente prioritaria è: ripresa economica, crescita, sviluppo. In questa corsa all'”uscita dalla crisi” dimentichiamo Kyoto, dimentichiamo i successivi fallimenti della varie conferenze mondiali sull’ambiente, dimentichiamo la possibilità di una economia verde, dimentichiamo che continuiamo costantemente a inquinare di più, a consumare sempre di più il territorio, a distruggere risorse non rinnovabili, ad aumentare la nostra impronta ecologica.

Non c’è dubbio che per la terra noi siamo in peggior parassita esistente. Ma nella nostra presunzione facciamo finta di nulla.

Così, tranquillamente, non traiamo alcun insegnamento dai fatti della storia.

La raccolta dei cereali del 2008 fu condizionata da una forte siccità. Nei paesi arabi il prezzo della farina salì in modo considerevole dando il via alle rivolte che cambiarono completamente lo scenario geo politico del medio oriente.

La prospettiva odierna è molto peggiore. Risulta che il raccolto del mais e del grano nel sud degli Stati Uniti sia in forte diminuzione a causa della grande siccità.

Secondo Coldiretti la produzione di mais americano potrebbe calare del 34% e quella della soia del 17% mentre già nell’ultimo mese si è avuta una crescita del prezzo di questi prodotti del 42%. Non dimentichiamo che quando si parla di prodotti come grano, mais, soia e via dicendo si parla di prodotti fortemente globalizzati… Ma la crisi produttiva non si fa sentire solo negli USA. Investe direttamente anche casa nostra. Sia la Toscana che l’Emilia lamentano forti cali produttivi per effetto dell’eccessivo caldo, ma anche in Russia si parla di crisi produttiva sempre legata a fattori climatici.

Questo scenario disastroso, magari anche esagerato (magari!!!!), va a cozzare contro le previsioni della FAO che  ipotizza che nel prossimi 40 anni il fabbisogno di cereali dovrebbe crescere del 60%…. ma di che stiamo parlando? Ci sarebbe da perdere la testa!

E’ uno scenario disastroso che non mi attira per nulla e che non vede via d’uscita.

Restiamo ai fatti. A quello che possiamo capire e che, forse, in qualche modo, possiamo anche contribuire a cambiare.

Nel post precedente a questo, Mangiamo il territorio, davo notizia dell’ultimo rapporto dell’ Ispra, che è il centro studi del Ministero dell’Ambiente, da cui risulta che ogni giorno noi cementifichiamo circa 100 ettari di territorio. Nonostante la crisi e grazie proprio a quella politica sbagliata, cieca e distruttiva messa in atto dalla politica che vede come unica arma di rilancio dell’economia la ripresa del settore edile e delle opere pubbliche, ogni giorno di consuma un crimine sottraendo terra all’agricoltura e costruendo opere che spesso sono inutili, brutte e destinate, nel giro di pochi anni, a diventare inutili monumenti al cattivo gusto, come testimoniano le migliaia e migliaia di capannoni, abitazioni edifici pubblici e che altro lasciati vuoti a deperire e ad abbruttire il paesaggio.

L’Italia, oggi come oggi, ricorre al mercato estero per circa la metà del proprio fabbisogno di cereali.

Cioè noi dipendiamo per il 50% dal grano canadese o da quello russo, per il mais americano e per la soia argentina…però ci permettiamo di distruggere le nostre riserve agricole senza alcun freno, senza pensare ad alcun rimedio  senza prevedere cosa sarà di noi quest’anno, il prossimo o tra dieci anni…

E’ qua che deve cambiare il nostro rapporto con la politica e con il futuro.  Cosa stiamo facendo per non peggiorare il clima? cosa stiamo facendo per non dipendere dal mercato estero per i nostri beni primari? cosa stiamo facendo per fermare lo scempio ambientale?

E su questi punti non è che noi dobbiamo batterci genericamente contro il “mondo della finanza… forse basta provare a battersi contro il sindaco della nostra città per una licenza edilizia di nuovi fabbricato. o per una rotonda inutile, o per uno pista ciclabile assurda… (io sarei anche a favore delle piste ciclabili, ma vorrei che non fossero assurde come quelle che si fanno oggi… provate ad usarle: sono troppo spesso percorsi di guerra accidentati e finiscono, quasi inevitabilmente, davanti ad un muro….)