la Barilla e la produzione

L’Avvenire Agricolo (www.avvwenireagricolo.it) ci fa sapere che:

Sarà l’Emilia-Romagna la capitale de grano duro. Passeranno infatti da 30 mila a 100 mila le tonnellate di grano duro prodotte grazie all’accordo di filiera siglato in Regione Emilia-Romagna, tra “Barilla” ed alcune aziende produttrici tra cui il Consorzio Agrario di Parma. L’alleanza, firmata lunedi 26 novembre alla presenza dell’Assessore Regionale Tiberio Rabboni, dal genaral manager della Divisione Pasta di Barilla Nicola Ghelfi e dal vice direttore generale del Consorzio Agrario di Parma, Dr. Lamberto Colla, rappresenta una vera novità nel panorama agricolo nazionale e si propone come modello di riferimento adottabile anche per altre produzioni. Grazie a questo protocollo l’azienda Barilla potrà disporre di grano duro di alta qualità “made in Emilia Romagna” e le imprese cerealicole godranno della migliore valorizzazione della produzione.”

E’ una buona notizia perchè in qualche modo cerca di incrementare la produzione nazionale di grado duro, mentre ancora dipendiamo dall’estero. Mi ritrovo a fare discorsi che anni addietro non avrei mai pensato di fare. Mi ritrovo, poi, ad inneggiare ad una iniziativa che vede come protagonista la Barilla che proprio non riscuote il massimo delle mie simpatie.

L’Italia attualmente produce circa 4 milioni di tonnellate di grano duro (la produzione mondiale è di circa 30 milioni di tonnellate) e una quantità circa uguale andiamo a comprarla all’estero (Canada ed Usa principalmente)

Ma il grano duro si consuma principalmente nel bacino del mediterraneo (paste secche, cus cus, alcuni tipi di pane ). Nella nostra tradizione alimentare il grano l’ha fatta da padrone. Ed era un grano di ottima qualità. sia che si trattasse di grano tenero che duro. Era un grano abituato a soffrire ed a resistere. Era un grano che aveva selezionato difese notevoli contro parassiti, muffe e siccità…. poi ci siamo evoluti… Grani più produttivi, grani a stelo più corto, grani ad impianto radicale meno sviluppato… ma anche più infestanti, più concimi, più dipendenza dalle multinazionali dell’agro alimentare… quelle stesse che vendono semi, concimi, antiparassitari e che comprano il prodotto … quelle stesse che hanno reso dipendente il nostro contadino e che controllano il mercato…

Poi la crisi. E se da questo nascesse una nuova consapevolezza del mercato? e se tutti quelli che lavorano per un commercio corretto, per un prodotto giusto e pulito, pere una produzione più intelligente e sana e contro l’arroganza di multinazionali folli e prepotenti si attivassero per far conoscere al consumatore la follia di una produzione cieca e scorretta…. non sarebbe una buona cosa?