La riunione dei produttori di oltreconfin

Giovedì 23 maggio nel primo pomeriggio si è tenuta la riunione dei “produttori” di Oltreconfin.

C’erano tutti. Mancavo solo io. (per questo mi sono candidato a verbalizzare l’incontro…). Mancavano anche Francesca e Riccardo, ma tra la grandine dell’anno scorso e un grosso problema di arvicole (topini che scavano tunnel sotterranei e mangiano tutte le radici dei nostri ortaggi) sono stati dispensati per questa volta..

Quelli che nel nostro gergo si chiamano “produttori” in realtà sono piccoli (più o meno) contadini, gente di varia età, ma quasi sempre accomunati da una sorta di marginalità sociale più o meno sofferta o più o meno rivendicata con orgoglio.

Di queste riunioni ne teniamo due all’anno e hanno lo scopo di condividere la programmazione delle colture che ognuno destina al circuito di economia solidale dell’associazione. Giovedì, appunto, ci si trovava per decidere la programmazione dell’autunno inverno 2024/25.

Noi, come la moda, lavoriamo in anticipo. Non so come vada alla moda, a noi va maletto.

La riunione di solito si apre con Federico ( che nel nostro piccolo mondo contadino assume un po’ il ruolo che nel mondo  della moda ha Renzo Rosso) che traccia un breve riassunto del passato e si lamenta che per questo o quel motivo la programmazione passata è stata troppo spesso disattesa…..

Coro di lamentele da parte dell’assemblea….

Poi il vociare di fondo si esaurisce quando prende la parola l’anima mediatrice del consesso: “demo vanti, fioi!” ( chi parla è il nostro Giorgio Armani dei campi, indiscusso re della zappa)

E andiamo avanti. 

Quello che segue è assai monotono e poco interessante per chi ci legge perchè si parla di porri, cavolo fiolaro, radicchio, spinaci. Si decide chi pianta cosa, chi dovrà fornire cavolfiori e chi si dedicherà a produrre bisi piuttosto che fave.

Quello che però mi risulta interessante è lo scambio di notizie, informazioni, sperimentazioni e tentativi che via via si recepisce tra le righe del dialogo tra produttori.

Che viviamo in un periodo di profondo cambiamento e di crisi della produzione è sotto gli occhi di tutti noi. Non siamo più davanti al consueto “lamento”  di chi semina e spera in una salutare pioggia che evita la necessità di dare acqua o alle semplici stramberie del tempo che come tutti sappiamo bene rappresenta la condizione normale delle primavere. 

Immagino che anche cento, mille anni fa i contadini avessero motivo di guardare al cielo e dichiararsi sconcertati dagli scherzi meteorologici  che si abbattevano sulla terra, ma erano cose, tutto sommato, che facevano parte del gioco. Spesso tutto si riequilibrava nello spazio di un mese o poco più. C’era l’usanza di dire a marzo che la luna, quest’anno era in ritardo o il anticipo di un mese…ma prima o poi tutto prendeva il suo solito giro. 

Se non riuscivi a seminare a marzo bastava aspettare la luna di aprile, ma bene o male le semine e i trapianti a fine aprile erano tutti conclusi, male che andasse, ma proprio male male, a maggio era tutto in piena vegetazione.

Oggi assistiamo al conclamato sconvolgimento del ciclo vegetale e al trionfo dell’impossibile.

Può darsi che sia un caso, ma c’è un indubbio cambio del giro.  Trapianti il radicchio a luglio ma poi a ottobre ti va tutto in semenza perché è un caldo estivo che arriva quasi a fine novembre…

poi anche febbraio non scherza e poco alla volta vedi le varie cavolacee che invece che andare a maturazione ti partono a fiore. Sarebbe quasi tempo di anticipare le semine estive, ma se lo fai vai incontro all’improvviso scherzo della rinascita di un inverno fino ad allora quasi inesistente.

Non è che ci lamentiamo, è che siamo veramente attoniti come di fronte ad un dramma per certi versi annunciato, ma al quale non vogliamo cedere.

Poi ripensi ai nostri cari agricoltori col trattore nel cuore che contestano i pochi, pochissimi indirizzi che servono per limitare i cambiamenti climatici. Pensi a quanto poco siamo consapevoli della follia messa in essere da chi contesta la Green Deal (ossia le norme europee per contenere i cambiamenti climatici) che poche centinaia di agricoltori sono riusciti a rendere inapplicabili e un po’ ti viene da pensare a quanto siamo deboli, isolati e impotenti noi, con i nostri campetti di terra e la nostra pretesa di coltivare rispettando la natura in uno sforzo di sopravvivenza che appare perfino velleitario.