mare nostrum

LA settimana scorso Michele Santoro ha presentato su Rai 2 una serata sulla crisi della pesca nel mare Adriatico. Uno dei mari storicamente più pescosi del mondo veniva descritto come una sorta di mare in punto di morte. Esagerazione di Santoro!

O no?

Esattamente trent’anni fa, era il 1981, presi sei mesi di aspettativa (allora ero un pubblico dipendente) e mi “imbarcai”, per così dire, nell’avventura della pesca. Cioè mi misi a fare il pescatore con un caro amico d’infanzia che si era messo a fare quel lavoro mosso da una passione assoluta per la pesca e per il mare.

All’epoca la questione ambientale era appannaggio di pochi. Non si parlava ancora di clima, qualche eclettico professava teorie macrobiotiche, vegetariane, o cose strane ma di origine prevalentemente orientale, e le industrie scaricavano amabilmente tutto quello che potevano nell’aria, nella terra o nell’acqua… Bei tempi!

Ricordo che i giornali erano pieni di articoli allarmistici sull’olio spagnolo avvelenato… La Spagna, appena uscita dal franchismo, si affacciava al mercato europeo diventando un pericoloso concorrente… ma per il resto tutto sembrava procedere con il vento il poppa… a parte qualche incidente che sporadicamente si affacciava alla cronaca. Erano cose episodiche e rare, come la nube tossica fuoriuscita dall’Icmesa che  fece conoscere a tutti la parola “diossina”, o come le voci che giravano su Marghera, le possibili fughe di gas o che altro… Più che altro paure che attingevano dall’inconscio: era tutto sommato un mondo sicuro. L’Italia era un gigante dell’industria chimica e si accingeva a compiere  una della più esaltanti  corsa allo sviluppo edilizio.

In quel contesto come pescava il mio amico? nel modi più tradizionale possibile: tramagli, palamiti, nasse. Una pesca vecchia di migliaia di anni che sollevava una qualche ilarità tra gli altri pescatori, ma che non impediva a quella gente di essere simpatica, cordiale e perfino solidale… Sì, perchè le scelte del mio amico, per quanto non condivise per nulla dagli altri pescatori, erano rispettate e un po’ invidiate.. Più di una volta li sentii dire che lui si poteva “permette” di pescare così perchè non aveva famiglia, mentre loro erano “costretti” ad usare ramponi, strascichi, turbosoffianti e diavolerie varie, perchè “avevano famiglia”. Dicendola tutta, loro avevano nel sangue l’ansia di prendere più pesce possibile… anche se tanto pesce veniva pagato meno di una pescata più ridotta…. ma la quantità era legata anche all’orgoglio e ad una sorta di gioco infantile fatto da adulti.

Si andava a vendere al mercato all’ingrosso che se, non ricordo male, cominciava alle 5 di mattina per finire verso sette. Molte volte si arrivava al mercato dopo aver pescato tutta la notte, facendo tutto un dritto. Poi si andava al bar del mercato a bere un caffè e in quei momenti era da sperare che a qualche pescatore non venisse in mente di “festeggiare” qualcosa o qualcuno.  SE niente niente uno voleva festeggiare una buona pesca, un anniversario di matrimonio, una figlio appena nato o che altro, era un dramma, almeno per me. Cominciava a girare un turbinio di vin santo. Alle sette di mattina dopo una notte insonne e faticosa… e mica ti potevi tirare indietro. ma scherziamo?

Vin santo di pessima fattura a me che non amo le cose dolci… E la cominciavano i racconti, le notizie, le storie… La Capitaneria di Porto, la Finanza, e da quella parte c’è tanta roba e questo ha preso quello  e quello ha preso quell’altro… In mezzo a tutto questo raccontare disordinato e alticcio capitava spesso di cogliere dei segnali di allarme sullo stato del mare..Già allora si diceva che per prendere qualcosa era necessario passare le acque territoriali di quella che ancora si chiamava Jugoslavia.

Come mi spiegava il mio amico , che aveva vissuto più di una volta coi i suoi palamiti l’avventura di sconfinare e di passare qualche tempo nelle prigioni socialiste, esisteva nell’adriatico una netta e visibile linea di confine costituita dal fatto che la parte di acque cosiddette internazionali, erano completamente prive di pesce perchè già pesantemente arate dalle reti a strascico che avevano spogliato il fondo del mare da tutta la vegetazione…Bastava sconfinare appena che già cominciavi a prendere.

Insomma, se già trent’anni fa la situazione era questa, la cosa che meraviglia è che si sia arrivati a questa situazione in così tanto tempo..Cioè si è continuato come nulla fosse fino al giorno in cui anche i pescatori hanno cominciato a protestare (è ormai qualche anno, lo so…).

Non è che attribuisca tutta la colpa di questa situazione ai pescatori, ma non mi sento nemmeno di assolverli come se fossero solo delle povere vittime del sistema. No. Esiste, o meglio “esisteva”, un preciso dovere da parte di chi viveva del mare, che era quello di tutelare questo bene per sè, per i propri figli e per quello di tutti gli altri. MA l’avidità è stata maggiore di ogni  dovere e di ogni buonsenso.

In quelle esasperanti bevute fatte al mercato, ricordo le previsioni del mio amico che erano ascoltate con un certo fastidio e a volte erano oggetto di scherno. Ci sono voluto trent’anni perchè il dramma fosse chiaro anche ai profeti delle turbosoffianti.

La cosa che mi va paura è che molti continuino a non vedere cosa sta succedendo a terra… e anche qua è ora e tempo di dire che la responsabilità del degrado qualitativo degli alimenti e dell’ambiente e un fatto che dipende anche da ogni singola persona.