La terra rubata

Nel corso degli ultimi dieci anni  (dal 2000 al 2010) hanno chiuso complessivamente  700.000 piccole aziende agricole in tutta Italia. La superficie agricola abbandonata è di circa l’8%. Parte di questa terra è tornata ad essere bosco (in particolare nelle zone appenniniche)  ma gran parte del terreno si è trasformato in cemento.

Negli ultimi due anni si è assistito ad un nuovo fenomeno: ossia il ritorno alla terra del giovani agricoltori.  E’ un fenomeno nuovo, legato alla crisi, ma anche ad una nuova coscienza.

Non passa settimana che non mi capiti la fortuna di incontrare giovani che si avvicinano alla terra: alcuni ritornano al campo familiare che oramai era coltivato solo a mais, altri sono alla disperata ricerca di una pezzo di terra da prendere in affitto, perfino da acquistare usando le poche risorse di genitori e  amici. Nascono così piccole imprese molte volte con un solo ettaro da coltivare ad ortaggi… qualche volta gli ettari da coltivare arrivano a 4 0 5. Sono micro imprese che ti assorbono tutto il tempo possibile ed immaginabile, che ti fanno sudare e faticare, ma anche danno soddisfazione. Il vero problema lo si trova in un preciso momento: quando vasi a vendere i tuoi prodotti. Là diventa palese che non ce la farai mai a sopravvivere se non trovi un qualche sistema di vendita diretta dei tuoi prodotti, perchè se vai a vendere i tuoi prodotti ad un grossista non ci ricavi nemmeno le spese che hai fatto sulla tua terra. E’ così. Un pezzo di terra coltivato con metodi artigianali, senza ricorso a macchinari, senza impiego di tecniche agrarie “moderne”, non può competere con i prodotti che trovi normalmente sul mercato.

Ed ecco che ci si dà da fare… ci si informa, si fa il giro delle sette chiese chiedendo come accedere ai finanziamenti regionali per le piccole imprese giovanili. Chi ci cade dentro entra in una storia e in una dinamica che lo porteranno ad allontanarsi sempre di più da un buon rapporto con la terra. Succede questo. I finanziamenti implicano una pianificazione necessaria. LA regione dice: ti do un finaziamento in parte anche a fondo perduto a condizione che tu mi dica come spenderai i soldi e che io possa verificare sistematicamente come procede la tua azienda.  E detta così la cosa è giustissima. Ma, e c’è un ma, devi necessariamente acquistare macchinari nuovi, devi necessariamente frequentare una serie di corsi, devi necessariamente tenere una contabilità precisa delle tue cose ed essere soggetto ai controlli che avvengono prima di ogni liquidazione dei contributi. Anche questo è tutto giusto. Ma c’è ancora un ma.

Tu, giovane agricoltore alle prime armi, non sai quasi nulla. Anche se hai magari un pezzo di laurea in agraria,  ma non sai ancora cosa ti aspetta e come modificherai le tue scelte alla luce dell’esperienza. Ma i soldi di contributo sono comunque alettanti… Allora ecco che entri nel meccanismo della contribuzione… hai bisogno di un trattore? bene, devi comprare tutto nuovo. Trattore, fresa,  pompa per irrigazione, trincia, e cosa varie… Tutte cose anche piccole, per una piccola aziendina, ma costose e soprattutto che potresti trovare usate e funzionanti a metà e perfino ad un quarto del valore a nuovo… questo per dirne una… la più banale. comunque devi metterci del tuo, pagare una fideiussione per accedere ai finanziamenti, contribuire ad una quota della spesa, partecipare a corsi di formazione  ad hoc anch’essi onerosi e via dicendo. Insomma per quanto poco devi vincolarti ad un progetto e devi cominciare ad indebitarti. I vantaggi contributivi fanno non a te ma a chi produce macchine agricole. I vantaggi della formazione non hanno particolare vantaggio per la tua competenza, ma vanno a sostenere che i corsi li propone e li tiene..

E il vincolo per il futuro ti costringe a scelte sempre più intriganti. LA terra costa una cifra spropositata, i contributi ti vincolano,  la conquista dell’autonomia è condizionata dal pagamento delle rate del mutuo. A meno che tu non sia una grande impresa agricola, davanti a te si presenta un baratro.

Cosa fare? io penso che ci sia una responsabilità collettiva in come sta andando tutta questa faccenda della terra. Io per primo mi disinteresso di cosa stia facendo il mio comune sotto l’aspetto urbanistico. Ma malgrado la crisi, vedo che si continua ad usare la terra senza alcun criterio. Si scava, si fanno bretelle e rotonde, sottopassi e cavalcavia, si lottizza sempre un po’… spariscono pezzi di paesaggio e al loro posto continuano a nascere orrori di supermercati, centri commerciali, villette e condomini. Opere pubbliche, grandi opere pubbliche… compagne sventrate. Ma è il progresso, è una segnale di ripresa e di ottimismo nel futuro. Distruggere il territorio sembra l’unica possibile risorsa per uscire dalla crisi. E’ un mondo così, un poco pazzerello. E’ un mondo che pensa di produrre energia elettrica rinnovabile mettendosi a coltivare mais e soia, oppure produce intensivamente carburante da biomasse fatte al solo scopo di accedere ai contributi energetici. E nessuno fa a federe che tutto questo ha un’ impronta ecologica decisamente alta… se no  ci fossero i contributi nessuno si sognerebbe di fare una centrale per biomasse  e così sperperiamo terra e denaro.

In altri posti del mondo, un tantino meno schizzati di noi, le scelte agricole hanno una altro tenore, sono più oculate e producono meno danni. A dire il vero c’è anche chi è peggio di noi, ma sarebbe opportuno, una volta tanto, che qualcuno pensasse anche al fatto che è pur sempre dalla terra che ricaviamo quello che mangiamo. Magari si ponesse al centro del dibattito politico il destino della terra. Invece questo argomento non fa parte, nemmeno per sogno, del dibattito attuale.

Peccato!