Storia dell’azoto: episodio 4

Questo articolo non era previsto. Almeno non così, almeno non ora.

E l’azoto, in questo caso, c’entra eccome, anche se in modo non così evidente e così scontato..

Mi spinge a scriverlo lo sguardo smarrito di alcuni miei colleghi contadini: sono quelli stessi che solo una trentina di giorni fa dicevano che sì, una siccità così è brutta, ma è già successo e poi giovedì hanno messo pioggia… sì, pioverà, pioverà!

Ora sono completamente in palla. Non ha piovuto, non pioverà neanche nei prossimi giorni, ma se anche piovesse alcune cose sono ormai compromesse. Fosse solo questo!  Ma il loro sguardo nasconde una sorta di inquietudine.

Faccio una piccola digressione sociologica. Da sempre l’attività di “coltivare” nasconde l’imprevisto. Oggi semino e non è detto che il raccolto sia come spero. Tante variabili rendono incerto il risultato ed è forse per questo che nella cultura contadina, quella precedente l’agricoltura moderna  sostanzialmente dedita alla monocoltura, c’era l’uso di diversificare la produzione.
C’era frumento, ma anche mais,  fagioli, patate, e poi trifoglio per le bestie, e sorgo, e canapa, e lino, e segale. C’era, prima di tutto, da pensare a come avere un qualcosa che aiutasse a passare l’inverno, a garantire la sopravvivenza nei periodi duri. C’era una volta, e c’è ancora, il bisogno di accumulare risorse come insegna oggi la crisi ucraina. 

E’ forse proprio da questo bisogno di diversificazione di produzione che si scopre l’avvicendamento colturale,  ossia la tecnica di rotazione delle semine che rappresenta un elemento fondamentale per mantenere la fertilità dei terreni. E’ una storia antica che risale ancora al primo medioevo e su cui torneremo in seguito perché ha anche a che fare con la fissazione dell’azoto, il riequilibrio dei terreni e tante altre storie.

Sta di fatto che la diversificazione delle colture risponde all’esigenza di tutelarsi per il futuro: metti che un anno la raccolta del frumento vada male, ma ci stanno le patate, o la segale o qualcosa d’altro. In un modo o nell’altro c’era la possibilità di tirare avanti. 

Oggi no. Oggi domina la monocultura. Ci sono terreni che da vent’anni o più producono sempre e solo mais.. oppure soia, oppure frumento. A guidare la scelta di seminare una pianta anziché un altra e quasi sempre un elemento strettamente economico. Il grano lo hanno pagato a tot a quintale mentre la soia è andata a tot altro…. Quest’anno mi butto sulla soia! L’unico criterio di scelta è strettamente economico. E la chimica permette di produrre a prescindere dalla qualità del terreno. Tutto il resto non conta. 

Ed eccola qua l’inquietudine del contadino moderno, il senso di smarrimento… ma che possiamo fare contro questo clima impazzito? Il problema è vero, ma non dimentichiamo come anche questo modo di produzione abbia contribuito a compromettere l’ambiente, il clima, la salute della terra..

E lo smarrimento nasce propria dall’incapacità di dare una risposta a questa crisi perché è talmente complessa, complicata, piena di incognite e di domande senza risposte che c’è tanto smarrimento.

Guardiamo al mais. In questo momento avrebbe un bisogno estremo di acqua perché è il momento della fioritura, ma mi dicono che se fiorisce fa un pennacchio striminzito che porterà, ben che vada, a pannocchie striminzite… ma non c’è acqua.. La soia, invece, è nata, ma è già seccata in molte parti. Va bene, direte voi, andrà meglio il prossimo anno….Sì, ma intanto hai pagato il concime il cui prezzo e triplicato e hai acquistato il gasolio a prezzo agevolato ( da 0,8 al litro pagato lo scorso anno a 1,7 pagato quest’anno) e per chi produce granaglie varie significa essere fuori per migliaia di euro.

 

 

 Marco (Donna Gnora)