Piccole storie d’acqua. Capitolo 1

L’agricoltura consuma un mucchio d’ acqua.
In giro per le nostre campagne si succhiano quantità enormi d’acqua dalle fontane che gettano acqua ininterrottamente. Pozzi che vanno sottoterra a trecento e passa metri di profondità che pescano dalla stessa falda dalla quale la premiata ditta San Benedetto attinge milioni di bottiglie che invadono il mondo in ogni dove. Ovunque tu vada la ditta di Scorzè è presente con le sue splendide bottigliette di plastica, comodissime anche da riutilizzare e poi da disperdere nell’ambiente, che tanto, nel corso di qualche decennio, finiscono in qualche isola galleggiante del Pacifico o a far bella mostra di sè in qualche lontana spiaggia del Mediterraneo.

Pochi giorni or sono si è tenuta la giornata mondiale dell’acqua. Finalmente si è parlato di acqua! Dopo la giornata mondiale mi sembra che le cose stiano andando molto meglio: faremo molto invasi per raccogliere l’acqua piovana, faremo un commissario nazionale per l’acqua, e sappiamo con certezza che circa il 43% dell’acqua potabile viene perso da reti idriche del tutto inadeguate. Ma anche gli agricoltori promettono che staranno più attenti al consumo e la scienza ci sta dando una mano incrementando la ricerca di nuove specie di cereali a scarso consumo idrico.
‘Na figata! Me ne sto seduto su una sedia ai bordi del mio grande orto e scruto l’orizzonte. Guardo, attraverso la leggera nebbiolina che grava sulla pianura (è smog, non illudetevi di essere di fronte ad un fenomeno naturale), il profilo delle montagne sperando di vedere avanzare il fronte delle perturbazioni atlantiche che ci versi un po’ d’acqua sulle nostre terre già aride. Sono in una posizione contemplativa ed interrogativa. Scorro le immagini del mio cellulare alla ricerca di una fotografia che ho ben presente nella mia testa e finalmente la trovo .
E’ stata scattata il 28 agosto del 2022 ma ricordo benissimo che questa situazione c’ era già da fine giugno.
Questa terra arida fa parte dell’area delle ex cave Cavasin, oggi parte integrante dell’oasi WWF di Noale. Il mio orto è proprio a ridosso di questo deserto da cui l’ultimo intervento del Consorzio di Bonifica Acque Risorgive mi ha isolato con la costruzione di un argine invalicabile quanto inutile che dovrebbe costituire parte della grande area di regolazione delle acque che scorrono lungo il Draganziolo. Sfruttando le vecchie cave di argilla e scavando altre aree attigue, il tutto contornato con la famosa arginatura che sovrasta il piano campagna di un metro e mezzo si è formato un bacino idrico “come cassa di espansione per laminare le piene del Draganziolo e la realizzazione di un nuovo fossato di progetto per adduzione alle cave e raccolta delle piogge dell’area, riducendo così localmente il bacino del Draganziolo e convogliando le portate direttamente al Rio Storto.” (come scritto nel sito del Consorzio) Grande opera, grande bacino. Ora manca solo l’acqua.  Salgo sull’argine e scatto la foto sottostante. E’ esattamente dallo stesso luogo da cui ho scattato la foto un anno fa. C’è un po’ d’acqua, lo scarso risultato delle piogge di autunno e inverno passati. Fino a quattro cinque anni fa, le sponde di questo laghetto erano assiduamente frequentate da pescatori. Poi, quattro anni fa a luglio, una moria di pesci. Lessati dall’acqua troppo calda. L’anno seguente a metà
luglio, la grande secchezza. Lo scorso anno il fenomeno si è verificato a fine giugno. Ok. Non occorre essere indovini per comprendere come va avanti questa storia. Non serve neanche innalzare i propri lamenti al cielo o maledire Nettuno o Giove Pluvio. Il fatto è che oggi questo “laghetto” è entrato a tutti gli effetti dentro l’area dell’oasi di Noale e fa parte del grande sistema di fitodepurazione, di contenimento delle piene del Draganzuolo. E’ un area umida, luogo di soggiorno di branchi di uccelli migratori ( branchi? ma che stai dicendo) è un area tutto fare. Raccoglierà anche le copiose piogge e gli allagamenti dovuti allo scioglimento delle nevi e dei ghiacciai. Se proprio dovesse essere necessario potremmo anche attingere alle sue riserve idriche per nutrire le nostre piante riarse dalle calde estati.
Non so se è chiaro, ma sono un tantino ironico. Faccio due considerazioni.

La prima riguarda l’intervento sul Draganziolo teso a ridurre l’inquinamento della Laguna di Venezia come stentoreamente dichiara il comunicato n.249 del 15 febbraio 2023 riportando le parole dell’assessore Marcato:
“La Regione del Veneto scommette sull’ambiente e adotta interventi mirati per la sua salvaguardia. E’ un giorno di festa grazie all’inaugurazione dell’Oasi di Noale: oggi sono qui per sottolineare il patto e l’attenzione che la Regione del Veneto ha nei confronti di realtà come questa. Parlo di un intervento importantissimo a favore del nostro territorio perché è finalizzato a non inquinare la laguna di Venezia, che sappiamo essere patrimonio dell’Umanità”
Continua il comunicato della Regione Veneto: “Le valenze di questo sito sono molteplici: oltre a contribuire alla sicurezza idraulica del territorio, sarà in grado di ridurre il carico inquinante in arrivo alla Laguna di Venezia, costituendo allo stesso tempo un’area umida in grado di abbattere le concentrazioni di azoto e fosforo attraverso l’impiego di tecniche di fitodepurazione. Quest’ultimo, in particolare, costituisce lo scopo principale dell’Oasi. “
Ma da dove arrivano queste concentrazioni di azoto e fosforo che inquinano la Laguna di Venezia (magari anche le falde acquifere di tutto il bacino scolante) ? Ed ecco il punto. Una scelta ambientale interessante: si lavora sull’effetto dell’inquinamento e non sulle cause. Purtroppo la maggior parte dell’inquinamento di cui si parla è il frutto di una agricoltura folle (che a sua volta è frutto di un mercato altrettanto folle) che utilizza tonnellate e tonnellate di concimi per coltivare monoculture che servono ad ingrassare le nostre mucche da carne. Mais, soia, frumento destinati a nutrire le nostre bistecche. La seconda considerazione. Capisco che nel breve periodo si punti alla realizzazione di bacini di riserve idriche.  La poca acqua che cade viene convogliata dentro bacini e sarà sottratta alle falde acquifere. Nei bacini subirà l’effetto dell’evaporazione e già si dice che questi interventi non saranno sufficienti. ( ma intanto cominciamo a scavare). Ci guardiamo attorno e pensiamo all’acqua del mare. E’ la soluzione? Forse. Con quali costi e quanto inquinamento produrrà la melassa salata che risulterà dall’ operazione? Sembra facile. Ma sarebbe opportuno che prima di trovare il famoso uovo di Colombo che tutto riduce ad una semplice trovata facile facile ( tanto per dire che la soluzione del problema è presto fatta), sarebbe proprio il caso di incominciare a studiare seriamente il problema e a mettere dei punti fermi per non essere costretti, un domani molto prossimo, a dover arginare problemi ancora più pesanti quali l’aumento della salinità del mare o i vari sistemi di smaltimento dei residui della desalinizzazione. E già sento una voce che dice: ma in Israele già lo fanno!
(continua)