Chiaro come il sole che non so nulla di chimica.
E allora, direte voi, stattene zitto che di gente che parla per niente ne abbiamo piene le tasche…
Condivido, eppure è un po’ di tempo che rimugino un episodio tratto dal libro di Benjamin Labatut, -Quando Abbiamo Smesso di Capire il Mondo – edito da Adelphi. E’ un libro che corre tra storia della scienza, finzione, mistero e domande tra sapere e dubbi.
Tra i personaggi compare anche la figura di uno strano premio Nobel, tale Friz Haber (1868 – 1936), cui dobbiamo tra l’altro l’invenzione del sistema di produzione dell’ammoniaca e a cui, secondo taluni, dobbiamo anche ascrivere la responsabilità, sicuramente indiretta, della crescita esponenziale del numero degli abitanti di questo pianeta. Ne riparleremo più avanti sempre che a qualcuno interessi questa storia.
Ma se oggi siamo in grado di sfamare sette miliardi di esseri umani lo dobbiamo anche a questo personaggio che ha pesantemente concorso a realizzare lo sviluppo dei diserbanti e dei concimi chimici che sono la base di quella che viene chiamata l’agricoltura convenzionale. Eccola la parola “magica”, l’aggettivo usato per confondere le acque, raccontare una storia del tutto inventata e spuria:
“convenzionale”.
Termine che annovera tra i propri sinonimi, secondo la Treccani, parole come:
abitudinario, conformista, conservatore, consuetudinario, ma anche:
comune, consueto, ordinario, routinario, solito, tradizionale, usuale.
L’idea è quella di far passare questa nuovo modo di produzione alimentare che nasce tra le due guerre mondiali e diventa del tutto dominante nel secondo dopoguerra come se fosse perfettamente in linea di continuità con la storia dell’agricoltura e dell’umanità e soprattutto andando a celare il peso ambientale che questo ha comportato e continua imperterrito a comportare.
Noi, sostengono i fautori dell’agricoltura convenzionale, continuiamo a produrre come si faceva secoli fa, millenni fa, come si è sempre prodotto perché noi siamo l’agricoltura convenzionale.
Furbetti!
Se il linguaggio dovesse essere effettivamente attinente all’attività svolta dovremmo avere il coraggio di parlare di agricoltura industriale oppure di agricoltura chimica. Ve la immaginate che bella pubblicità ne verrebbe fuori se effettivamente chiamassimo le cose per quello che sono?
Avremmo finalmente famiglie felici che mangiano pasta di puro grano da cultura chimica o merendine con tutta la bontà del grano industriale. Non c’è niente di scandaloso, è esattamente quello che avviene, ma ammettiamolo, è poco commerciale ed ancor meno invitante.
A seguito di questo mutamento di sistema produttivo si è reso necessario inventare l’agricoltura biologica che nasce negli anni ‘80 del secolo scorso, ossia circa una quarantina di anni fa, e che alla sua base ha un concetto molto semplice: continuare a coltivare senza ricorrere ai prodotti chimici di sintesi.
Quando si parla di agricoltura si parla di una storia lunga circa 13.000 anni ( che paragonati ai circa 250.000 anni di storia dell’homo sapiens rappresenta un tempo piuttosto breve) che si è sviluppata passo a passo generando competenze, cultura, saperi, biodiversità, studio delle risorse, tecnologia in qualche modo in equilibrio con la natura o quantomeno in modo molto ma molto meno invasivo di quello che stiamo vedendo oggi…
Poi arriva questa prodigiosa agricoltura convenzionale ed apriti cielo! In un secolo tutto cambia sotto il cielo. Possiamo anche trovare padri nobili a questo sconvolgimento quali lo sviluppo della scienza, la tecnologia, il positivismo, il progresso scientifico e tecnologico. Però a me, che sono un tantino baucco, sorge il dubbio che tutto questo abbia un nome semplice: AZOTO!
– testi e foto Marco (Donna Gnora)
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