indivia

A casa mia l’indivia veniva semplicemente chiamata “insalata”. Era, cioè, una delle varietà di verdure che accompagnava un secondo molto spesso consistente nella solita “fettina” di carne Da ragazzo non avevo  simpatia ne per la carne ne per l’indivia.

Lo scorso anno Paola aveva in corso una mostra al Castel dell’Ovo a Napoli e per un mese aveva trovato alloggio in un appartamentino nel cuore di quella città che ora è agli onori della cronaca per le noto vicende di immondizia, ma che a conoscerla solo un po’ riserva mille sorprese e meraviglie… non da ultima quelle culinarie.

Lungo via dei Tribunali,  stradina che da piazza Dante porta verso il Duomo di San Gennaro (le mie coordonate geografiche sono piuttosto approssimative) oltre a monumenti, antichi palazzi, negozietti rimasti tali dai tempi dei Borboni o anche prima, in quel dedalo di stradine che conservano l’impianto della città  prima greca e poi romana, capita di imbattersi in panetterie che sfornavo delle focaccine da urlo.

Il nostro pranzo consisteva, appunto in queste focacce infarcite di scarola che era soffritta con agli e insaporita con sarde sotto sale…

Poi ho imparato che l’indivia sia quella liscia che quella riccia si presta ad una quantità di ricette veramente notevoli… Senza nulla togliere a chi mangia la scarola in insalata, mi permetterei di suggerire di metterla a cuocere, dopo averla accuratamente lavata e tagliata, in una padella con olio extra vergine d’oliva, un po’ d’aglio sale e magari un po’ di peperoncino. A fine cottura sciogliete una o più  acciughe e servite tiepida…