la saragolla

Quando mi sono imbattuto nel grano di saragolla non conoscevo nemmeno la differenza tra grano duro e grano tenero. Sto parlando di un tempo lontano. Poi, se ci penso bene, mi accorgo che saranno passati sì e no tre anni da quanto, scorazzando con la guida di Ivo per l’Abruzzo, capitammo, assieme a Paola e alle nostre figlie, al cospetto di un giovane uomo che vendeva pane.
Più che vendere,  Walter il pane lo raccontava. Quando arrivammo a casa sua ci fece accomodare sul divano della sua bottega e ci offri un caffè. E intanto parlava. Parlava di glutine e di lieviti, parlava di grani e di salute, parlava di vecchi produttori e di mulini. Io capivo molto poco, ma assentivo. Perchè Walter parlava con trasporto e competenza, ma quello che era più convincente di tutto era la sua passione.

Sul piccolo banco di vendita aveva cinque pani di un tipo e cinque di un altro. Erano forme semplici, da pane fatto in casa, e pesavano circa un chilo a forma.. senza esitare tagliò alcune fette dei due tipi di pane e ce le fece assaggiare, prima da sole, poi accompagnate da un olio prodotto sul posto..

Un tipo di pane era di saragolla, l’altro di solina.  Sulla saragolla iniziò un lungo racconto che conduceva lontano nel tempo e che assumeva il sapore di una riscoperta recente, fatta da un mugnaio della zona appassionato di sementi: Giulio Amadio Fiore.

Poi il racconto di Walter proseguì e divenne incredibilimente filosofico. Dalla farina eravamo passati allo stile di vita, al senso stesso della vita.

Tutta questa lunga premessa per parlare della saragolla, o meglio, del mio rapporto con la saragolla.

Ivo, manco a dirlo, conosceva bene Giulio Fiore, il mugnaio che aveve rimesso in produzione la saragolla. E anche qua nuove scoperte e nuove sorprese.

La saragolla nelle mani di Giulio Amadio

La saragolla nelle mani di Giulio Amadio

Giulio è un po’ orso e non è facile entrare in sintonia con lui. Ma un po’ alla volta credo che tra noi si sia instaurato un rapporto di fiducia. Anche quando sono costretto a lamentare qualche “carenza” nel suo prodotto. Beh è successo che una partita di pasta scuocesse con troppa facilità.  Non voleva crederci. Eppure era così. Forse un errore di essicazione, una porta che si apre all’improvviso, la temperatura che si abbassa e la pasta ne soffre.

Noi ci mettiamo tutta la nostra passione per dare un prodotto sano e genuino e poi ti capitano queste cose? E’ una tragedia!  Beh, è proprio così. Poi ci ragioni, ci lavori sopra, ci pensi. Noi sitamo lavorando senza le solite scorciatoie di un mondo industriale che a fronte di un problema ha sempre la soluzione drastica e tombale: il tuo prodotto ha possibilità di degenerare? buttiamoci dentro antibiotici, antifermentativi e conservanti.  Si fa presto e poco importa se poi, alla lunga, tutto questo ti mina la salute, tanto sarà comunque quasi impossibile stabilire un nesso di causalità tale che si riesca a risalire alle cause vere dello “star male”. E’ stato così anche per le sigarette dove il nesso di causalità tra fumo e tumori era già stato individutato con certezza negli anni sessanta e che solo da pochi anni è diventata consapevolezza per tutti…”nuoce alla salute”.

E’  lontano, però, il giorno in cui sarà possibile leggere  sul sacchetto delle patatine fritte o sulla confezione dell’hamburgher “questo prodotto nuoce gravemente alla salute”.

Dunque la saragolla. Grano antico, poi abbandonato dalla modernità. Il problema della saragolla si chiama allettamento ed è un fenomeno puramente fisico: la spiga è lunga e quando giunge a maturazione tra il peso dei semi e i colpi di vento e pioggia  tende a piegarsi fino al afflosciarsi a terra. La raccolta a macchina diventa problematica.

La scienza interviene: bombarda con radiazioni nucleari i semi del Senatore Cappelli ed ottiene un nuovo prodotto ibrido: una  spiga ricca, un fusto corto e poco propenso ad allettare. Solo due incovenienti: il nuovo grano ha bisogno di grande uso di fertilizzanti e di forti trattamenti di antiparassitari. Così si toglie la saragolla o il senatore cappelli e si inizia la cultura dei nuovi grani, ibridi, molto produttivi, ma anche molto delicati e bisognevoli di grandi fertilizzazioni.

Siamo agli inizi degli anni ’70.

Il tempo passa e molti ci raccontano di intolleranze al frumento. Secondo Giulio Fiore questo avviene perchè per secoli e secoli il nostro cibo base era stato un grano come la saragolla tanto che questo è entrato nel nostro patrimonio genetico. All’improvviso cambiamo prodotto e il nostro fisico reclama la saragolla.

Non so se questo sia vero o possa essere almeno verosimile. Ma è un a storia suggestiva e non mi dispiace.

Ho cominciato a fare il pane di saragolla a ottobre.

Lievito madre, acqua e farina di saragolla, un pizzico di sale. E’ un pane rustico, che sa di frumento e che in casa mia è oramai diventato d’obbligo. Non  credevo in un tale successo, ma non solo il mio pane viene rivendicato da tutta la famiglia, ma anche i miei ospiti hanno preso l’abitudine di chiedermene un pezzo da portarsi via…

Forse riconoscono il sapore antico, quello che è entrato nel nostro patrimonio genetico (secondo la tesi di Giulio Fiore).

Non avevo pensato di mettere in vendita la farina di saragolla. Troppo cara e piuttosto difficile da lavorare…. ma ci sto ripensando.