Un solo mondo

Aurelio Peccei non era un ambientalista con tendenze estremiste.

Era un grande dirigente d’azienda e un imprenditore.

Nel 1968 dette vita ad una associazione culturale chiamata Club di Roma e riunì alcuni premi nobel, intellettuali, economisti. Occhei, e con questo?

Lui, il Peccei, era una persona curiosa ed era tormentato da un dubbio al quale non sapeva dare risposta. 

All’epoca non erano molte le persone che si interessavano alla questione ma lui non era uomo dal perdersi d’animo e dai oggi e dai domani aveva intuito che doveva fare qualcosa per risolvere il suo dubbio amletico.

Grosso modo la questione che lo angustiava era legata allo sviluppo industriale e alla limitazione delle risorse. 

Gli anni 70’ del secolo scorso io me li ricordo perfettamente. Mi ricordo il senso di onnipotenza che si respirava davanti alle grandi opere, i grandi impianti industriali, le enormi ciminiere che venivano su come funghi a sputare nell’aria ogni schifezza. Per fare un riferimento locale mi ricordo l’odore pestifero che ammorbava Marghera dove ero andato ad abitare. Nessuno si poneva seriamente il tema ambientale. Nessuno aveva la percezione che le risorse delle terra potessero essere messe in crisi.

Qualcuno, ancora oggi, non se ne rende conto.

Il primo rapporto del Club di Roma uscì nel 1972.  Ragazzi, diceva, abbiamo un problema!

Sono passati più di 50 anni. Ora il problema è sotto gli occhi di tutti. Di rapporti e studi e analisi siamo pieni e non ce ne è uno che ci dia seriamente qualche speranza, anche se l’atteggiamento dominante è quello di enunciare soluzioni salvifiche che puntualmente vengono disattese dalla nostra pratica quotidiana, perché, è il caso di dirlo e perdonate in francesismo, siamo dei coglioni!

L’ ultimo rapporto del Club di Roma è del 2022. (per saperne un po’ di più leggi https://asvis.it/notizie-sull-alleanza/19-13939/presentato-il-rapporto-del-club-di-roma-lumanita-deve-fare-un-salto-da-giganti).

Di quest’ultimo rapporto c’è un aspetto che mi preoccupa particolarmente. Ci mette davanti ad un quadro che è preoccupante. Ragazzi se entro il 2030 non mettiamo in piedi un serio programma per limitare i danni, non avremo più scampo. Il processo di modificazione della crisi ambientale diventerà  irreversibile. 

Ma non solo. Modificare il processo deve necessariamente sconvolgere i rapporti sociali: dobbiamo

Porre fine alla povertà attraverso la riforma del sistema finanziario internazionale, sollevando 3-4 miliardi di persone da questa condizione;

Affrontare le gravi disuguaglianze garantendo che il 10% più ricco della popolazione non prenda più del 40% del reddito nazionale;

Consentire alle donne di raggiungere la piena parità di genere entro il 2050;

Trasformare il sistema alimentare per fornire diete sane per le persone e il pianeta;

Favorire e velocizzare la transizione all’energia pulita per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.


Sembra niente. Pensiamoci, iniziare questo processo significa sconvolgere il nostro mondo economico, politico sociale, ma anche le nostre vite

Eppure quello che si percepisce nell’aria è solo una risposta che tende inesorabile verso gli armamenti, come se  l’umanità, messa di fronte alle proprie responsabilità fosse capace di rispondere alla propria insipienza solo con la guerra.