Ma quale pane?

Mi rendo conto che l‘articolo precedente che ho scritto, è chiaro solo a me…

Chi avesse avuto l’ardimento di seguire il “blog di donna gnora” dall’inizio, sarebbe a conoscenza di una mia fissazione circa la nocività delle farine in commercio.  Faccio brevemente il sunto.

Per quanto riguarda la “qualità” dei frumenti utilizzati per la panificazione c’è da dire che essa, specie a partire dagli anni ’70 (1970) è notevolmente peggiorata a causa delle esigenze produttive ed industriali. Si utilizzano qualità selezionate sempre più produttive ma più “deboli” rispetto a parassiti e funghi… da questo la necessità di maggiore uso di anticrittogamici e l’esigenza di concimazioni chimiche sempre più massicce nonostante le direttive europee e il conclamato allarme da inquinamento.

Inoltre, sempre per esigenza industriale, l’altezza del grano deve  abbassarsi sempre di più per impedire l’allettamento (piegamento a terra) delle spighe e la facilitazione di raccolta con le mietitrebbie. Ma all’abbassamento del grano corrisponde anche una proporzionale riduzione di elementi chimici, vitamine, minerali, enzimi, che rendono il grano di oggi meno ricco di sostanze benefiche e digeribili (aumenta l’amido a discapito di minerali e proteine).

Per quanto riguarda, invece, il tipo di macinazione del grano, gli attuali mulini industriali procedono ad una tale velocità di macina che la farina esce a temperature elevatissime. Inoltre il processo di raffinazione è tale che le farine contengono praticamente solo amido. Questo consente una grande “morbidezza” e lievitazione del pane che però decade molto presto… mangiate il pane del giorno prima… è duro, o peggio ancora, è una specie di gomma dura.

Infine il lievito. Si usa, nella migliore delle ipotesi, il lievito di birra. Ma molto più spesso si ricorre alla lievitazione con agenti chimici di sintesi. La digeribilità ed il senso di gonfiore crescono nell’intestino e nel processo digestivo.

Questi tre elementi sono quelli che principalmente differenziano un pane veramente “artigianale” da uno industriale.

Quello che sto tentando di proporre io, parte dal grano.

Io uso “semi antichi” ossia frumenti la cui “selezione” o riproduzione, non è dovuta ad interventi industriali di ibridazione, ma che si riproducono per “selezione massale” ossia il contadino seleziona il seme migliore dell’anno precedente da qualità antiche. Il grano è sempre alto e la sua produttività è minore, ma non necessita di concimazioni chimiche e piuttosto viene utilizzato il metodo della “rotazione” colturale. Ossia si alternano al grano produzioni di erba medica o di altre leguminose per favorire il riequilibrio della terra.

La macinazione di questi grani, che possono essere duri come la “saragolla” o il “senatore cappelli”, oppure teneri come il “gentil rosso” o la “solina”, avviene a pietra con mulini che lavorano utilizzando macine lente ossia che tendono a scaldare molto poco la farina. Inoltre la macinazione a pietra restituisce una farina ricca di tutti gli elementi costitutivi del grano in quanto le varie parti del seme si mescolano nel processo di molitura. Nell’utilizzo, invece, del mulino a cilindri il seme passa attraverso un sistema di raschiatura che divide i diversi strati del seme… senza che essi, in qualche modo si amalghino tra loro. Ne esce, alla fine, una farina del tutto priva di tutti i componenti che si trovano nel seme… è solo puro amido… è solo la parte di carboidrato che gonfia ed ingrassa…

Infine il lievito. Il processo di acidificazione della farina attraverso un processo naturale di  fermentazione sembra garantire la maggiore digeribilità del grano e necessita di tempo e un po’ di esperienza.

Infine la cottura. E’ opportuno fare forme piuttosto grandi perchè questo consente una cottura lenta specie dell’interno del pane che in questo modo mantiene attivi tutti i diversi elementi di cui è composto.

Dunque la scelta di “fare” il pane, è anche la scelta di seguire principi e comportamenti virtuosi che non alterino o alterino il  meno possibile, la naturalezza della produzione e diano all’alimentazione tutti gli apporti positivi sia in termini di gusto che di valore nutritivo e di sostanza.

La cosa migliore sarebbe il ritorno all’autoproduzione, ma sempre mantenendo molta attenzione a che tipo di farina si usa (mai usare farine 00! sono solo amido e fanno male) , al sistema di macinazione, alla qualità del grano, (la tanto reclamata “manitoba” è una farina di forza che fa lievitare tanto, ma è ricca di carboidrati e povera di proteine), il tipo di lievitazione, e la cottura.

Per esempio il pane che ho proposto questa settimana era fatto con farina bio semintegrale di saragolla, era lievitato con pasta madre in 12 ore, ed era cotto male nel forno elettrico a 200 gradi per i primo 5 minuti e poi a 180 per altri 45 minuti. La cottura era comunque insufficiente perchè era maggiore la quantità di pane infornata… e questo ha sicuramente inciso sulla cottura.